domenica 2 dicembre 2012

Il FacSimile.

  Anch’io andai al concerto di Capa’e’minchia. Anch’io, con in mano il potente biglietto prepagato, presi posto nella scoraggiante fila all’entrata. Un enorme serpente di persone partiva dai miei piedi per poi sparire, ininterrotto, dietro un pilone dello stadio. Un vero esodo. Proseguivo con la velocità del morto; quando raggiunsi le transenne era già buio. 
  Avanti a me, ad un paio di metri, scorsi un tizio che era uguale a Capa’e’minchia. Aveva gli stessi capelli, erti e gonfi sino allo spasimo. Gli chiesi se lui e il famoso cantante fossero, come mi pareva, la stessa persona. «No», rispose quello, «ma anch’io canto in una band, e suono benissimo la chitarra», «Impressionante», risposi con tono spento. 
  Il concerto ebbe inizio. I musicisti fecero la loro apparizione sul palco, sommersi da imponenti luci di circostanza. Il FacSimile estrasse l’IPhone dalla giacca e pigiò con il polpastrello dell’indice un quadratino luminoso. L’inconcepibile apparecchio emise un bip discreto, quasi intimo. Poi quello alzò le braccia verso il cielo, disegnando un ampio e immobile cerchio muscoloso. In alto, i palmi stringevano l’IPhone come in una morsa. Rimase non so per quanto tempo in quella posizione. Uno sforzo sovrumano, intollerabile anche solo alla vista. Di tanto in tanto si voltava verso di me, con un certo sorriso smargiasso, e diceva: «Guarda come registra bene». 
  Lo show si protraeva blandamente. Capa’e’minchia (quello vero, suppongo) si esibì in numerosi cambi d’abito, credo con l’intenzione di distrarre i fan dall’insipida voce. Si travestì da califfo, da papa, da re. Indossò la divisa dei poliziotti e quella del Ku klux klan. Correva su e giù per il palco come un demonio, incastonato in una coreografia oscena di negri snodabili e forzuti. Il FacSimile registrava, come imbalsamato, ogni secondo. «Dovresti seguirlo mentre corre, così rischi di perderlo», gli dissi. Lui, quasi con affetto, dichiarò l’infondatezza delle mie preoccupazioni. «Sono in modalità grandangolo», rispose fiero. 
  Il concerto si chiuse con Capa’e’minchia che imitava un certo santo, di cui non seppi mai il nome. Le luci s’abbassarono d’intensità. Qualcuno mise un vecchio disco, anch’esso di circostanza. Il monumentale evento era quindi finito, e già sapeva di anacronismo triste. Il FacSimile spense l’IPhone, lo nascose in una tasca e sparì nella folla. 









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