Quando fece ritorno, Dario non era più Dario: era Daud.
Andai a prenderlo in stazione. Aveva indosso una tunica bordeaux che gli arrivava
fino ai piedi; due enormi medaglioni di rame appesi al collo; un paio di
sandali in pelle di Gnu e una specie di Bibbia sottobraccio. Salutò mostrandomi
il palmo della mano. «Ciao Dario», «Chiamami Daud, è il mio nuovo nome». Presi
a grattarmi il cuoio capelluto mentre cercavo di capirci qualcosa. Chiesi
spiegazioni. Disse di aver passato gli ultimi mesi in una setta Sufi e di aver
ritrovato se stesso. Daud era il nome che, il “Gran Maestro” in persona – alla
fine di un processo di “metamorfosi” –, gli aveva conferito. «È un grande
onore», concluse. Devono avergli messo qualcosa nel tè, pensai, ora gli passa.
Lo feci accomodare in macchina; estrasse una bustina dalla borsa e tirò fuori
un’erba che puzzava di letame; ne appallottolò un po’ e la mise in bocca. «Vuoi
provare?», mi chiese. «No grazie», «È un’erba Sufi», «Puzza di sterco di
vacca», «Il Gran Maestro dice che ci avvicina alla comprensione di noi stessi»,
«Non metterei quel letame in bocca nemmeno se me lo ordinasse Gesù Cristo in
persona», dissi tappandomi il naso con due dita. Maledetto coprofago, pensai.
Mentre guidavo, Daud aprì il libro e inscenò una specie di preghiera a denti
stretti. Di tanto in tanto alzava le mani al cielo nascondendo le pupille sotto
le palpebre. Era tutto molto grottesco. Un urlo disumano annunciò la fine della
cerimonia. Gli chiesi di raccontarmi della “metamorfosi”; volevo scendesse nei
particolari. Venni accontentato. «Prima abbiamo digiunato per una settimana,
poi il Gran Maestro ci ha ordinato di costruire una capanna», «Con lo sterco?»,
chiesi preoccupato. «No. Con il fango». Grazie a Dio, pensai, sarebbero tutti
morti di indigestione. La faccio breve. Finita l’edificazione, una decina di
adepti vi si infilano e il Gran Maestro si preoccupa di tapparli dentro
chiudendo tutti i buchi. Dopo una decina di ore senz’aria né luce sopraggiunge
quella che Daud chiamò – con una certa emozione – “estasi”. Qualcosa non
quadrava. «Dieci ore?», chiesi. «E se uno deve pisciare?», «La facevamo lì»,
«Davanti a tutti?», «Eravamo al buio», «E la puzza?», «Oh, non dava fastidio»,
«Che schifo che fate». Inutile chiedere cosa succedeva se uno faceva la cacca
nella capanna (dato il loro simpatico vizietto). Lo sbarcai a casa dei suoi;
dovetti portare la macchina all’autolavaggio per togliere quell’orribile tanfo.
Passarono i giorni e in paese tutti parlavano di Daud e del suo strano modo di
fare. In fin dei conti, non avevano torto. Se ne andava in giro con quella sua
tunica bordeaux formulando ragionamenti assurdi. «Ti fai una birra?», «No, la
birra mi allontana dalla verità», oppure, «Vieni al mare?», «Aspetterò lo
Zenit», o ancor peggio, «Hai fame?», «Ho fame di me», e altre simili
balordaggini. «Così dice il Gran Maestro», si giustificava Daud. Aveva sempre
in bocca – sterco a parte – il Gran Maestro; lo nominava sempre: Gran Maestro
di qua, Gran Maestro di là. Aveva una fiducia incondizionata per quel tizio. In
poco tempo, inevitabilmente, nessuno in paese volle più la sua inquietante
compagnia. Gli rimasi solo io. Una sera eravamo sdraiati su di un prato. Un
sole fiacco, opaco, giallo come un limone, con delle chiazze più scure ai
bordi, scendeva rapidamente al di là delle montagne, inondandoci con la sua
luce molle e biancastra. Buttai giù un sorso di GinPiscio che mi ero portato da
casa; Daud inghiottì una pallina di cacca. Prese a spiegarmi meglio la
filosofia Sufi. Mai sentito tante idiozie in una volta sola. Il Sufismo
– come Cosa Nostra – è organizzato a cupola. Alla base ci sono i semplici
adepti, e, man mano che si sale, si acquista non solo potere, prestigio e
quant’altro, ma anche – udite udite! – dei veri e propri poteri paranormali.
Più si va verso la cupola, più crescono le qualità in tal senso. Capo dei capi:
il Sultano; a cui sono attribuiti un numero illimitato di super poteri, fra cui
l’immortalità. È impressionante il numero di amenità che possono entrare nella
testa di un uomo. «E tu?», chiesi, «Che poteri hai?», «Oh, io sono solo un
semplice derviscio, un novizio, per ora nulla, ma un domani... il Gran maestro
ad esempio...». Ci risiamo, pensai. «... lui ha il dono della telepatia»,
«Scherzi?», «No, può trasmettere i suoi pensieri in tutto il globo a chiunque
vuole, in qualsiasi momento», «E ci credi pure?», «Certo». In quel mentre a
Daud squillò il telefonino; rispose buttandosi in ginocchio. «Sì... sì... è un
onore. Verrò il prima possibile... sì... quale enorme onore!... ma quando...
pronto?... pronto?». Staccò il telefono dalle orecchie con uno scatto e prese a
fissarlo dubbioso. «Chi era?», «Il Gran Maestro», «Che ti ha detto?», «Sono
stato eletto, Robin, mi promuoveranno», «Anche tu avrai i super poteri?»,
chiesi ironico, «Sì, anch’io, ci sarà una grande cerimonia, salirò di grado».
Mi complimentai. «Bravo! E quando sarebbe questa grande cerimonia?», «Non lo
so. Il Gran Maestro stava per dirmelo, ma ha lasciato la frase a metà». Poggiò
le braccia penzoloni sopra le ginocchia; rimase immobile a vedere quel sole che
continuava ad andare giù sempre più velocemente. «Be’», dissi io, «avrà finito
i gettoni», «Sì, deve essere questo, lo chiamerò dopo», «Bravo!», aggiunsi in
un tono senza speranza. Maledetti mangia-cacca, pensai. L’indomani stesso lo
accompagnai in stazione. Ci stringemmo la mano. Lo vidi sparire nel vagone come
in un banco di nebbia. Il treno si allontanò sbuffando; presi la macchina;
tornai all’autolavaggio.
Anche Gianni Morandi è coprofago...
RispondiEliminaah ah
RispondiEliminama che mangia-cacca. ah ah.
RispondiEliminae che roba, comunque i SUfi non somigliani neanche a quello che hai scritto, è falso. I Sufi sono una cosa seria, e qua ndo si parla di telepatia, si parla in un altro senso e non di super poteri.
RispondiEliminaDovresti essere meno offensivo
Eliminaaaaaaaaaaaaaaaa la coprofagia.......
Eliminaolè...
EliminaDaud.... che tipo strano!
RispondiEliminaguarda che la capanna è roba degli indiani.... non dei Sufi.
RispondiEliminahai ragione
RispondiEliminaSei originale nelle tue storie, ogni tanto fai anche ridere. Il guaio è che, oltre ad avere poca dimestichezza con l'italiano, poca conoscenza delle cose di cui parli, si nota una certa arroganza che probabilmente ti viene dall'essere un po' provincialotto.
RispondiEliminaSei molto convinto ma si capisce che sei un disadattato da cameretta. Comunque ti piace dipingerti come uno navigato aperto a tutto, salvo poi essere il solito giudicone di paese a cui piacciono le storielle da bar di periferia.
Continua così, con i tuoi "Pensierini della tazza".Peccato non siano di carta...almeno sarebbero anche utili!
P.s.Ottima l'idea di inserire autocommenti, almeno così non sembra un blog deserto. L'unica cosa è che poi le risposte devi distanziarle un po'.
Menomale che lui fa ridere, te sicuramente fai piangere. Disadattato sei tu che commenti solo x offendere!!!
RispondiEliminaBè si effettivamente...però per chi è approdato all'Islam dopo un percorso preciso (come me) non è piacevole leggere certe cose.
RispondiEliminaEh la madona quante parole...Sufi te la prendi troppo, so cazzate!
RispondiEliminasei davvero bravo
RispondiEliminaMi è piaciuto questo racconto; ancor di più perché anch'io ho avuto il piacere di trovare un essere strano come il tuo amico. In fondo il mondo ne è pieno: magari non hanno tuniche rosse e medaglioni ma hanno comunque bisogno di un guru e di una pratica a cui far riferimento. Casaleggio insegna.
RispondiEliminaAnche nel mio blog faccio quel che posso per descrivere e smontare questi strani alieni alienati.Con humour, se possibile come hai fatto tu.