Sono pigro, a volte pigrissimo. Faccio barba e capelli una
volta l’anno. Una volta l’anno busso alla porta di Marietto – il mio barbiere
di sempre – con l’aspetto di un naufrago. Capelli e barba formano un unico
ammasso lanoso che mi rende irriconoscibile. Marietto mi apre e inizia la
pantomima che va avanti da anni. «Prego, si accomodi», mi dice. Accenno un
inchino. «Grazie». Non posso fare a meno di continuare così per un po’. Mi
diverte troppo. «Cosa facciamo?», «Barba e capelli, per cortesia». Poi affondo
il dito nella piaga. «Carino questo posto, è la prima volta che vengo. È qui da
molto?», «Da molti anni, sì», «Complimenti, e davvero messo bene il suo
negozio», «Grazie. Lei è molto gentile». Marietto continua a tagliare quel
cespuglio-che-ho-al posto-dei-capelli e, a tre quarti del lavoro, mentre gli
chiedo di frizionarmi il cuoio capelluto con un balsamo al midollo di tasso,
ecco che lui sobbalza con le forbici in mano. «Oh, Robin, ma sei tu!». «Ah ah,
te l’ho fatta di nuovo pollo», «Sono vent’anni che mi fai sempre lo stesso
scherzo. Proprio non ti stanchi mai?», «No», rispondo secco. Finito il taglio,
mi faccio applicare un po’ di quella roba-appiccicosa-che-non-va-mai-via in
testa. È portentosa, tiene i capelli incollati per settimane. «Dimmi Marietto,
dove prendi questa roba?», «In cantiere». Non aggiungo altro; saluto e vado
via. «Ciao pollo». Continuo col dire di essere molto affezionato a Marietto. Il
suo negozio è pieno di tesori che mi ricordano la fanciullezza. Ci sono le
coppe delle gare di bocce a cui, da piccolo, assistevo con passione; un vecchio
mulinello degli anni cinquanta per passare la schiuma da barba; una dolce
fragranza di sambuca che mi solletica le narici ad ogni colpo di rasoio. In
effetti, quando Marietto non ha clienti in vista, lascia un cartello con su
scritto “Per i capelli venire al Bar”. E giù con caffè-sambuca-sambuca-caffè,
fino allo stordimento. Ma non è tutto oro ciò che luccica e una volta finimmo
per litigare. Mia sorella si sposava nel pomeriggio e io ancora – data la mia
natura di uomo pigrissimo – non avevo effettuato il taglio dei capelli. Come se
non bastasse mi ero svegliato tardi. Sapevo che se non fossi arrivato puntuale
in chiesa mio padre, mia madre, mia sorella, mio cognato, il prete, ed anche il
papa in persona mi avrebbero scomunicato per sempre dalla famiglia. Ciò non
poteva succedere. Misi qualcosa addosso e corsi a 130km/h da Marietto. Arrivai
sgommando di fronte il suo negozio. Sulla porta c’era quel maledetto cartello;
mi recai di corsa al Bar. Avevo un’ansia indescrivibile. Marietto era poggiato
al bancone con un bicchiere in mano. Intorno aveva una cerchia di amici
festosi. Tutti gli davano baci sulle guance e gran pacche sulle spalle. Chiesi
ad un vecchio cos’era tutto quel trambusto. «Come, non lo sai? Oggi è il
compleanno di Marietto, il più grande barbiere del mondo. È da stamane che
brindiamo». Sono morto, pensai. Ma dovevo tentare lo stesso. Mi avvicinai a lui
mentre tirava giù un bicchiere tutto d’un fiato. Aveva le guance rosse come un
pecoraio macedone. «Marietto, ascolta, vorrei...», «Chi sei?», mi urlò vomitandomi
addosso il suo alito liquoroso. Mi ricordai di tutte le volte che l’avevo preso
in giro. Vorrei non averlo mai fatto, pensai. «Marietto, dai, sono Robin»,
«Robin? Ah ah ah», «Sono Robin, ti dico». Marietto si voltò verso un suo amico
con un sorriso deciso e potente. «Hai sentito? E io chi sono? Ah ah, sentito
che dice questo?». Di nuovo si rivolse a me: «Aria amico». «Sono Robin, ti
prego, devi credermi», «Tu neanche ci somigli a Robin, aria ti ho detto». La
situazione stava degenerando, e io avevo bisogno di quel maledetto taglio di capelli.
I commenti nel Bar erano davvero sconfortanti. «Però, se lo si guarda bene, in
fondo, potrebbe essere lui», «Ma no che non è lui, non vedi il naso?», «Be’,
guarda il mento però», «Robin è mezzo metro più alto», concluse uno di quelli.
Ebbi un’idea: dissi loro di scommettere; la mia identità sarebbe venuta fuori
dopo il taglio di capelli. Marietto, ormai intontito dalla sambuca, accettò con
entusiasmo. Un vecchio si armò di carta e penna e fece le quote; un suo amico
si occupò della raccolta del denaro. Quando tutti ebbero fatto la loro puntata
Marietto ci fece strada al suo negozio. Mi accomodai e lui prese ad affilare il
rasoio. Qualche vecchio aveva con sé la sedia del Bar; mi circondarono. Il
problema fu che Marietto, guidato dall’impazienza della curiosità, tagliava
senza troppo badare a cosa stesse facendo. Neanche si preoccupava troppo di
come armeggiava quel suo rasoio arrugginito. Zac... «Oddio! Stai
attento», «Ops, scusa». E continuava a sforbiciare frenetico. Zac... «Oh
cazzo, l’orecchio... mi stavi portando via l’orecchio», «Ne hai due. Ora vedi
di star fermo». Ubbidii. Ancora qualche sforbiciata ed ecco che uno dei vecchi
esclamò: «Oh, ma è lui... è Robin». Una frangia di quei rincoglioniti gridò un
Hurrà che rimbombò nell’aria. Alla fine del trattamento mi guardai nello
specchio. Avevo la faccia come il tegame per le castagne. Dentro di me pensai
che sarebbe stato meglio andare in chiesa con una pecora in testa, piuttosto
che con quella faccia. E questa fu la volta che io e Marietto litigammo. Chiudo
con la telefonata che feci a mia sorella: «Pronto?», «Pronto Robin, dove sei?
Manchi solo tu», «No, senti, non posso venire», «Non puoi venire?», «Ho avuto
un incidente», «Che incidente?», «Dal barbiere», «Oh, sei pigro è basta», «No,
non è una scusa», «Ora ti passo papà e lo spieghi a lui», «Non farlo, ti
prego», «Eccolo che arriva», «Pronto?», «Pronto papà, senti non posso venire»,
«Sei un pigro, neanche al matrimonio di tua sorella ti degni di venire», «Ma
papà ti dico che...», «Bastardo figlio di un cane mongolo, ora ti passo la
mamma, te la vedrai con lei» «No, papà, non farlo», «Pronto?», «Mamma
ascolta...», «Non vieni? Brutto pigro che non sei altro. Ti scomunichiamo dalla
famiglia. Sei un ingrato. Brutto figlio di una cagna albanese», «Ma mamma,
lasciami spiegare», «Ecco il prete, anche lui ha qualcosa da dirti», «Cristo
santo no», «Figliuolo...», «Mi dica Padre», «Sai dove vanno a finire i pigri?
Lo sai? Sei un figlio di...». Riattaccai. Ne avevo abbastanza.
Marietto, Nomen omen..
RispondiEliminaChe casino
RispondiEliminaTosto, tosto.
RispondiEliminaQuesta è noiosa, e molto anche.
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