domenica 27 maggio 2012

Sei un pigro e basta.


Sono pigro, a volte pigrissimo. Faccio barba e capelli una volta l’anno. Una volta l’anno busso alla porta di Marietto – il mio barbiere di sempre – con l’aspetto di un naufrago. Capelli e barba formano un unico ammasso lanoso che mi rende irriconoscibile. Marietto mi apre e inizia la pantomima che va avanti da anni. «Prego, si accomodi», mi dice. Accenno un inchino. «Grazie». Non posso fare a meno di continuare così per un po’. Mi diverte troppo. «Cosa facciamo?», «Barba e capelli, per cortesia». Poi affondo il dito nella piaga. «Carino questo posto, è la prima volta che vengo. È qui da molto?», «Da molti anni, sì», «Complimenti, e davvero messo bene il suo negozio», «Grazie. Lei è molto gentile». Marietto continua a tagliare quel cespuglio-che-ho-al posto-dei-capelli e, a tre quarti del lavoro, mentre gli chiedo di frizionarmi il cuoio capelluto con un balsamo al midollo di tasso, ecco che lui sobbalza con le forbici in mano. «Oh, Robin, ma sei tu!». «Ah ah, te l’ho fatta di nuovo pollo», «Sono vent’anni che mi fai sempre lo stesso scherzo. Proprio non ti stanchi mai?», «No», rispondo secco. Finito il taglio, mi faccio applicare un po’ di quella roba-appiccicosa-che-non-va-mai-via in testa. È portentosa, tiene i capelli incollati per settimane. «Dimmi Marietto, dove prendi questa roba?», «In cantiere». Non aggiungo altro; saluto e vado via. «Ciao pollo». Continuo col dire di essere molto affezionato a Marietto. Il suo negozio è pieno di tesori che mi ricordano la fanciullezza. Ci sono le coppe delle gare di bocce a cui, da piccolo, assistevo con passione; un vecchio mulinello degli anni cinquanta per passare la schiuma da barba; una dolce fragranza di sambuca che mi solletica le narici ad ogni colpo di rasoio. In effetti, quando Marietto non ha clienti in vista, lascia un cartello con su scritto “Per i capelli venire al Bar”. E giù con caffè-sambuca-sambuca-caffè, fino allo stordimento. Ma non è tutto oro ciò che luccica e una volta finimmo per litigare. Mia sorella si sposava nel pomeriggio e io ancora – data la mia natura di uomo pigrissimo – non avevo effettuato il taglio dei capelli. Come se non bastasse mi ero svegliato tardi. Sapevo che se non fossi arrivato puntuale in chiesa mio padre, mia madre, mia sorella, mio cognato, il prete, ed anche il papa in persona mi avrebbero scomunicato per sempre dalla famiglia. Ciò non poteva succedere. Misi qualcosa addosso e corsi a 130km/h da Marietto. Arrivai sgommando di fronte il suo negozio. Sulla porta c’era quel maledetto cartello; mi recai di corsa al Bar. Avevo un’ansia indescrivibile. Marietto era poggiato al bancone con un bicchiere in mano. Intorno aveva una cerchia di amici festosi. Tutti gli davano baci sulle guance e gran pacche sulle spalle. Chiesi ad un vecchio cos’era tutto quel trambusto. «Come, non lo sai? Oggi è il compleanno di Marietto, il più grande barbiere del mondo. È da stamane che brindiamo». Sono morto, pensai. Ma dovevo tentare lo stesso. Mi avvicinai a lui mentre tirava giù un bicchiere tutto d’un fiato. Aveva le guance rosse come un pecoraio macedone. «Marietto, ascolta, vorrei...», «Chi sei?», mi urlò vomitandomi addosso il suo alito liquoroso. Mi ricordai di tutte le volte che l’avevo preso in giro. Vorrei non averlo mai fatto, pensai. «Marietto, dai, sono Robin», «Robin? Ah ah ah», «Sono Robin, ti dico». Marietto si voltò verso un suo amico con un sorriso deciso e potente. «Hai sentito? E io chi sono? Ah ah, sentito che dice questo?». Di nuovo si rivolse a me: «Aria amico». «Sono Robin, ti prego, devi credermi», «Tu neanche ci somigli a Robin, aria ti ho detto». La situazione stava degenerando, e io avevo bisogno di quel maledetto taglio di capelli. I commenti nel Bar erano davvero sconfortanti. «Però, se lo si guarda bene, in fondo, potrebbe essere lui», «Ma no che non è lui, non vedi il naso?», «Be’, guarda il mento però», «Robin è mezzo metro più alto», concluse uno di quelli. Ebbi un’idea: dissi loro di scommettere; la mia identità sarebbe venuta fuori dopo il taglio di capelli. Marietto, ormai intontito dalla sambuca, accettò con entusiasmo. Un vecchio si armò di carta e penna e fece le quote; un suo amico si occupò della raccolta del denaro. Quando tutti ebbero fatto la loro puntata Marietto ci fece strada al suo negozio. Mi accomodai e lui prese ad affilare il rasoio. Qualche vecchio aveva con sé la sedia del Bar; mi circondarono. Il problema fu che Marietto, guidato dall’impazienza della curiosità, tagliava senza troppo badare a cosa stesse facendo. Neanche si preoccupava troppo di come armeggiava quel suo rasoio arrugginito. Zac... «Oddio! Stai attento», «Ops, scusa». E continuava a sforbiciare frenetico. Zac... «Oh cazzo, l’orecchio... mi stavi portando via l’orecchio», «Ne hai due. Ora vedi di star fermo». Ubbidii. Ancora qualche sforbiciata ed ecco che uno dei vecchi esclamò: «Oh, ma è lui... è Robin». Una frangia di quei rincoglioniti gridò un Hurrà che rimbombò nell’aria. Alla fine del trattamento mi guardai nello specchio. Avevo la faccia come il tegame per le castagne. Dentro di me pensai che sarebbe stato meglio andare in chiesa con una pecora in testa, piuttosto che con quella faccia. E questa fu la volta che io e Marietto litigammo. Chiudo con la telefonata che feci a mia sorella: «Pronto?», «Pronto Robin, dove sei? Manchi solo tu», «No, senti, non posso venire», «Non puoi venire?», «Ho avuto un incidente», «Che incidente?», «Dal barbiere», «Oh, sei pigro è basta», «No, non è una scusa», «Ora ti passo papà e lo spieghi a lui», «Non farlo, ti prego», «Eccolo che arriva», «Pronto?», «Pronto papà, senti non posso venire», «Sei un pigro, neanche al matrimonio di tua sorella ti degni di venire», «Ma papà ti dico che...», «Bastardo figlio di un cane mongolo, ora ti passo la mamma, te la vedrai con lei» «No, papà, non farlo», «Pronto?», «Mamma ascolta...», «Non vieni? Brutto pigro che non sei altro. Ti scomunichiamo dalla famiglia. Sei un ingrato. Brutto figlio di una cagna albanese», «Ma mamma, lasciami spiegare», «Ecco il prete, anche lui ha qualcosa da dirti», «Cristo santo no», «Figliuolo...», «Mi dica Padre», «Sai dove vanno a finire i pigri? Lo sai? Sei un figlio di...». Riattaccai. Ne avevo abbastanza. 

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