lunedì 14 maggio 2012

Il vecchio e la banca.


  Il vecchio entrò nel bar guardandosi la punta dei mocassini. Indossava il vestito delle grandi occasioni. Si avvicinò al barista; poggiò una pila di fogli sul bancone; prese un fazzoletto dal contenitore e se lo passò sulla fronte rugosa. «Fammi un cappuccino», disse. «Cappuccino in arrivo», rispose il barista. Il vecchio bevve d’un sorso la sua birra-con-molta-schiuma; si riempì d’aria i polmoni; rimase per un po’ con le guance gonfie alla Luis Armstrong; sbuffò sgonfiandosi come un palloncino. Il giovane barista infilò un CD e alzò il volume. «Che è questi rumore?», chiese il vecchio, «RicardinhoFalcaoVillaLobos il re dell’HouseMicroTampax», rispose il barista battendo le mani in aria. «Sembra un motori a scoppio», «Sei passato vecchio». Ordinò un altro paio di cappuccini; bevve anche questi con foga. Di tanto in tanto accarezzava tristemente la pila di fogli sul bancone. Poi disse: «Spegni quel motori». Il barista ubbidì; spense lo stereo. Capimmo che doveva dirci qualcosa di importante; lo circondammo affettuosamente. Eravamo abituati alle massime del vecchio. Nonostante un italiano traballante, le sue parole suonavano spesso come una profezia biblica. Dovevamo ancora digerire il “voi siete uno generazione di porci che i porci non lo possono fare più” della sera prima, che ora, dopo solo un giorno, già ne aveva pronta un’altra, e doveva essere una roba grossa visto l’aria rassegnata che aveva. Rimase per un po’ immobile senza dire nulla. Fra di noi aleggiava un religioso silenzio. Poi si decise: «A me la banca mi s’ha rubbato i soldi». Rimasi con la birra in mano a guardarlo. Questa le superava tutte. Una banca che ruba soldi ad un povero contadino come lui, che roba, dovevo capirci di più. Il vecchio mi guardò: «Robin, spiegami questi documento». Ai tempi frequentavo il quinto liceo e al vecchio tanto bastava: ero il “dotto” della situazione. Quindi mi porse la pila di fogli e iniziò a spiegare come erano andate le cose. Quello che disse – nonostante fosse impregnato di una certa logica – è comunque difficile da esporre. Ci proverò lo stesso. Dunque, il vecchio ha lavorato una vita come contadino. Una vita intera ad arare, innaffiare, seminare e raccogliere. Nel suo campo era davvero esperto e navigato, ma per tutto il resto – non che per lui avesse la benché minima rilevanza –, era tabula rasa. Capiva solo di pomodori, fave e quant’altro. Continuo col dire che, nell’arco di una vita, il vecchio aveva tirato su un gruzzolo niente male (esaminando le carte che mi scorrevano fra le mani, quantificai la cifra intorno ai cento milioni del vecchio conio). Per la maggior parte delle persone, cento milioni sono cento milioni, o, su per giù, cinquantamila euro, comunque sempre di soldi si tratta, ma per il vecchio cento milioni erano una casa. In effetti, prima del cambio lire-euro, a grandi linee, era questo il valore di un immobile. L’imminente matrimonio della figlia lo aveva spinto a fare il grande passo. Una doccia, una affilata alla barba con un vecchio rasoio arrugginito, vestito delle grandi occasioni, ed eccolo in banca pronto a farsi consegnare la “casa” guadagnata negli anni con il sudore della fronte. Quando l’impiegato gli aveva detto che la sua non era più una casa, bensì, al massimo, un’automobile, al povero vecchio per poco non erano scoppiate le coronarie. Gli inutili chiarimenti dell’impiegato avevano fatto un tonfo nel vuoto. «Si esprimeva malo malo», diceva il vecchio. Ora chiedeva a me – e a tutti gli altri nel bar – di spiegargli cosa fosse accaduto alla sua “casa”. Quale difficoltà! Nessuno poteva toglierli dalla testa che la banca lo stesse derubando. Ognuno di noi provò a suo modo. «È il cambio, vecchio», «Che c’entra il mio macchina?», «Ma no, il cambio dei soldi», «E duecenti euri che gli ho dato al meccanico, dove li metti?», oppure, «Inflazione, vecchio», «Coglione lo dici a tuo madre», e così via per un po’. Proprio non ci capivamo. A complicare il tutto ci si mise il fatto che in cuor nostro, in fondo in fondo, avevamo il sospetto che il vecchio avesse ragione – gli sguardi compassionevoli che gli rivolgevamo erano una prova lampante delle nostre incertezze in tal senso. Rassegnato, gli dissi che non c’era più nulla da fare, ormai la “casa” non c’era più. «È così per tutti», conclusi. «Anche a voi la banca vi s’ha rubbato i soldi?», alzai gli occhi al cielo, «Sì, vecchio, a tutti noi». Tutto quel parlare aveva radicato in noi una convinzione velenosa: non è questione di crisi, di inflazione o di debito pubblico, qui c’è qualcuno che ruba. Ci davamo man forte l’un l’altro ripetendoci cose come: «È un’ingiustizia», «Non possono rubarci la vita così», «La pagheranno», «Banche maledette», «A me la banca mi s’ha rubbato i soldi», eccetera eccetera. La disperazione ci portò a bere galloni di vino e birra; attaccammo a piangere consolandoci l’un l’altro con delle pacche sulle spalle. Di nuovo le parole del vecchio erano state rivelatrici. La bile ci correva veloce nelle vene. Piangemmo fino a sera; versammo così tante lacrime e consumammo così tanti fazzoletti che qualcuno prese ad asciugarsi il viso con la Gazzetta. Eravamo animati da uno spietato senso di vendetta. Ma Dio-Nostro-Signore-che-tutto-vede-e-tutto-sa ci diede la possibilità di rifarci quella sera stessa. Mentre mi soffiavo il naso con il Corriere entrò nel bar un uomo in giacca e cravatta. Il vecchio rimase a fissarlo a bocca aperta. «Che hai vecchio?», chiesi, «È esso, Cristo Santo, è esso», «Lui chi?», «L’impiegato di banchi, è esso che si rubba i soldi». Chiesi conferma: «Sei sicuro vecchio?», «È esso, ti dico». Bisognava agire con precisione, occorreva freddezza. Avevamo davanti l’incarnazione di tutti i nostri malesseri e, fosse anche caduto il mondo, non dovevamo lasciarlo scappare. Avvisai di nascosto tutti gli amici del bar; il tizio prendeva il caffè ignaro del pericolo. Ci organizzammo in un attimo. Lo circondammo. «Che volete?», chiese l’impiegato. «Ora lo capisci». Abbassai la serranda del bar, mentre il vecchio si rivolse al barista dicendo: «Riaccendi il motori a tutti volumi.». Il barista infilò di nuovo il CD nel lettore e pompò il volume; il vecchio si tirò su una manica della camicia; una goccia di sudore freddo prese a scendere lentamente dalla guancia dell’impiegato.  

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