Il vecchio entrò nel bar guardandosi la punta dei
mocassini. Indossava il vestito delle grandi occasioni. Si avvicinò al barista;
poggiò una pila di fogli sul bancone; prese un fazzoletto dal contenitore e se
lo passò sulla fronte rugosa. «Fammi un cappuccino», disse. «Cappuccino in
arrivo», rispose il barista. Il vecchio bevve d’un sorso la sua
birra-con-molta-schiuma; si riempì d’aria i polmoni; rimase per un po’ con le
guance gonfie alla Luis Armstrong; sbuffò sgonfiandosi come un palloncino. Il
giovane barista infilò un CD e alzò il volume. «Che è questi rumore?», chiese
il vecchio, «RicardinhoFalcaoVillaLobos il re dell’HouseMicroTampax», rispose
il barista battendo le mani in aria. «Sembra un motori a scoppio», «Sei passato
vecchio». Ordinò un altro paio di cappuccini; bevve anche questi con foga. Di
tanto in tanto accarezzava tristemente la pila di fogli sul bancone. Poi disse:
«Spegni quel motori». Il barista ubbidì; spense lo stereo. Capimmo che doveva
dirci qualcosa di importante; lo circondammo affettuosamente. Eravamo abituati
alle massime del vecchio. Nonostante un italiano traballante, le sue parole
suonavano spesso come una profezia biblica. Dovevamo ancora digerire il “voi
siete uno generazione di porci che i porci non lo possono fare più” della sera
prima, che ora, dopo solo un giorno, già ne aveva pronta un’altra, e doveva
essere una roba grossa visto l’aria rassegnata che aveva. Rimase per un po’
immobile senza dire nulla. Fra di noi aleggiava un religioso silenzio. Poi si
decise: «A me la banca mi s’ha rubbato i soldi». Rimasi con la birra in mano a
guardarlo. Questa le superava tutte. Una banca che ruba soldi ad un povero
contadino come lui, che roba, dovevo capirci di più. Il vecchio mi guardò:
«Robin, spiegami questi documento». Ai tempi frequentavo il quinto liceo e al
vecchio tanto bastava: ero il “dotto” della situazione. Quindi mi porse la pila
di fogli e iniziò a spiegare come erano andate le cose. Quello che disse –
nonostante fosse impregnato di una certa logica – è comunque difficile da
esporre. Ci proverò lo stesso. Dunque, il vecchio ha lavorato una vita come
contadino. Una vita intera ad arare, innaffiare, seminare e raccogliere. Nel
suo campo era davvero esperto e navigato, ma per tutto il resto – non che per
lui avesse la benché minima rilevanza –, era tabula rasa. Capiva solo di
pomodori, fave e quant’altro. Continuo col dire che, nell’arco di una vita, il
vecchio aveva tirato su un gruzzolo niente male (esaminando le carte che mi
scorrevano fra le mani, quantificai la cifra intorno ai cento milioni del
vecchio conio). Per la maggior parte delle persone, cento milioni sono cento
milioni, o, su per giù, cinquantamila euro, comunque sempre di soldi si tratta,
ma per il vecchio cento milioni erano una casa. In effetti, prima del cambio
lire-euro, a grandi linee, era questo il valore di un immobile. L’imminente
matrimonio della figlia lo aveva spinto a fare il grande passo. Una doccia, una
affilata alla barba con un vecchio rasoio arrugginito, vestito delle grandi
occasioni, ed eccolo in banca pronto a farsi consegnare la “casa” guadagnata
negli anni con il sudore della fronte. Quando l’impiegato gli aveva detto che
la sua non era più una casa, bensì, al massimo, un’automobile, al povero
vecchio per poco non erano scoppiate le coronarie. Gli inutili chiarimenti
dell’impiegato avevano fatto un tonfo nel vuoto. «Si esprimeva malo malo»,
diceva il vecchio. Ora chiedeva a me – e a tutti gli altri nel bar – di
spiegargli cosa fosse accaduto alla sua “casa”. Quale difficoltà! Nessuno
poteva toglierli dalla testa che la banca lo stesse derubando. Ognuno di noi
provò a suo modo. «È il cambio, vecchio», «Che c’entra il mio macchina?», «Ma
no, il cambio dei soldi», «E duecenti euri che gli ho dato al meccanico, dove
li metti?», oppure, «Inflazione, vecchio», «Coglione lo dici a tuo madre», e
così via per un po’. Proprio non ci capivamo. A complicare il tutto ci si mise
il fatto che in cuor nostro, in fondo in fondo, avevamo il sospetto che il
vecchio avesse ragione – gli sguardi compassionevoli che gli rivolgevamo erano
una prova lampante delle nostre incertezze in tal senso. Rassegnato, gli dissi
che non c’era più nulla da fare, ormai la “casa” non c’era più. «È così per
tutti», conclusi. «Anche a voi la banca vi s’ha rubbato i soldi?», alzai gli
occhi al cielo, «Sì, vecchio, a tutti noi». Tutto quel parlare aveva radicato
in noi una convinzione velenosa: non è questione di crisi, di inflazione o di debito
pubblico, qui c’è qualcuno che ruba. Ci davamo man forte l’un l’altro
ripetendoci cose come: «È un’ingiustizia», «Non possono rubarci la vita così»,
«La pagheranno», «Banche maledette», «A me la banca mi s’ha rubbato i soldi»,
eccetera eccetera. La disperazione ci portò a bere galloni di vino e birra;
attaccammo a piangere consolandoci l’un l’altro con delle pacche sulle spalle.
Di nuovo le parole del vecchio erano state rivelatrici. La bile ci correva
veloce nelle vene. Piangemmo fino a sera; versammo così tante lacrime e
consumammo così tanti fazzoletti che qualcuno prese ad asciugarsi il viso con
la Gazzetta. Eravamo animati da uno spietato senso di vendetta. Ma
Dio-Nostro-Signore-che-tutto-vede-e-tutto-sa ci diede la possibilità di rifarci
quella sera stessa. Mentre mi soffiavo il naso con il Corriere entrò nel bar un
uomo in giacca e cravatta. Il vecchio rimase a fissarlo a bocca aperta. «Che
hai vecchio?», chiesi, «È esso, Cristo Santo, è esso», «Lui chi?», «L’impiegato
di banchi, è esso che si rubba i soldi». Chiesi conferma: «Sei sicuro
vecchio?», «È esso, ti dico». Bisognava agire con precisione, occorreva
freddezza. Avevamo davanti l’incarnazione di tutti i nostri malesseri e, fosse
anche caduto il mondo, non dovevamo lasciarlo scappare. Avvisai di nascosto
tutti gli amici del bar; il tizio prendeva il caffè ignaro del pericolo. Ci
organizzammo in un attimo. Lo circondammo. «Che volete?», chiese l’impiegato.
«Ora lo capisci». Abbassai la serranda del bar, mentre il vecchio si rivolse al
barista dicendo: «Riaccendi il motori a tutti volumi.». Il barista infilò di
nuovo il CD nel lettore e pompò il volume; il vecchio si tirò su una manica
della camicia; una goccia di sudore freddo prese a scendere lentamente dalla
guancia dell’impiegato.
Che cosa triste!
RispondiEliminaMa no, povero vecchio. Comunque alla fine ha avuto la sua rivincita. Botte da orbi.
RispondiEliminasembra un corto
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