sabato 28 aprile 2012

Amore al metro.

  Eppure, a dirla tutta, non era bello. Una feroce calvizie gli aveva raso al suolo tre quarti del cuoio capelluto. Aveva la pelle squamosa ed era grasso. I motivi del suo successo con le donne erano per me un mistero assoluto. Tuttavia, era un buon amico. Passavamo delle buone giornate insieme. Quel pomeriggio dovevamo incontrarci per una partita a biliardo e quattro chiacchiere. Lo trovai poggiato al muro dell’università con addosso un’orribile camicia dalmata. Ci salutammo. «Ciao Robin», «Ciao Mandingo». Tirò una boccata dalla sigaretta, emise un sibilo asmatico e buttò la cicca pestandola con i mocassini in pelle d’istrice. «Partitina a biliardo?», dissi io, «Sì, ma prima devo passare da una mia amica a prendere un libro», «Non mi va di reggerti la candela», «Solo cinque minuti». Accettai, senza emozione, l’invito. 
  Lo seguii fino alle periferie. Mandingo suonò ad un citofono. «Alice? Sono Mandingo», «Oh, vieni pure Mandingo, primo piano». Il portone si aprì con uno scatto, salimmo un paio di gradini e c’infilammo nell’appartamento. Alice era al balcone che prendeva il sole. Indossava un MicroTanga ch’era come un bavaglino per neonati. Non so cosa fu con esattezza, se il suo sguardo della categoria senape-e-miele o quell’enorme Manhattan’Mix’Lemon’Funeral’Ice dal quale tirava ampie sorsate, davvero non saprei, fatto sta che divenni barzotto. 
  Alice preparò qualcosa da bere e brindammo insieme. Parlammo per un po’ del più e del meno. Poi Mandingo ritirò il suo libro di sociologia avanzata “L’uomo moderno e lo Gnu: analogie e differenze” e salutammo. Una volta fuori, a malapena celavo l’emozione, tanto mi aveva colpito quella donna. «Te la sei fatta?» chiesi al mio amico. «Ancora no, ma stai sicuro che inzupperò.» Maledizione! Uno come Mandingo era troppo per uno come me. Non avevo speranze. Al bar biliardi non mandai in buca neanche una palla. Le mani mi tremavano mentre pensavo ad Alice e al suo tanga. All’ennesimo tiro sbilenco Mandingo capì che qualcosa non andava. «Che hai?», «Senti, devo chiederti una cosa», «Spara», «Ma come fai con le donne? Voglio dire, insomma, hai un aspetto orribile», «L’aspetto conta poco. Vieni con me». Mi abbracciò come un padre e mi condusse mano nella mano al cesso. Quando mi chiusi la porta alle spalle, Mandingo s’abbassò le mutande. Fu allora che lo vidi. Moscio com’era arrivava quasi alle ginocchia. «Capisci adesso?» disse Mandingo. Riavvolse come una bobina quel suo affare nelle mutande. Se devo far qualcosa, pensai, occorre che lo faccia prima che i due s’incontrino. Si doveva agire in fretta. «Devo andare», dissi. 
  Arrivai a casa con il primo autobus. Aprii il frigo e ingurgitai ogni sorta di alcolici, credo per farmi coraggio. Poi presi un righello e andai in bagno. Ebbene, il mio era un ventitré. Non c’era paragone con il quaranta di Mandingo. Pensai a lungo ed ecco l’idea: misi un paio di pantaloni attillati e infilai due calzini nelle mutande. Un’impomatata ai capelli e via. Dopo una mezz’oretta ero di nuovo nelle periferie. Mi annunciai al solito citofono. «Sono Robin, l’amico di Mandingo», «Sali, ti apro». Feci quindi la mia apparizione nell’appartamento. Alice dimostrava un certo disagio per la visita inattesa e per un po’ ci guardammo imbarazzati. Poi mi ricordai di Mandingo. Tolsi la giacca e sfoderai il pacco-calzino. Sporgevo la pancia in avanti per metterlo in mostra il più possibile. Quella s’addolcì di colpo, come presa in una magia. Mi fece accomodare su di un divano e m’offrì da bere. Arrivai a comprendere che, a volte, il pacco ha più personalità di chi lo possiede. Quindi tagliai corto. «Andiamo in camera», dissi. C’infilammo a letto e tutto andava alla grande, ma quando la misteriosa arte del petting volse al termine, iniziarono i guai. «Togliti le mutande», disse Alice, «Non posso», «Come sarebbe a dire?». Caddi nel pallone e dissi l’indicibile: «Cerca di capire, sono timido». Alice s’alzò con uno scatto dal letto. I suoi occhi senape-e-miele mi sondavano bui. «Sparisci adesso, mollusco», urlò severa. Giudicai la situazione irrecuperabile. Mi rivestii e raggiunsi, non accompagnato, la porta. 
  Una volta in strada, misi la mano nelle mutande e gettai via i calzini. In giro non c’era anima viva e quella desolazione rifletteva la mia solitudine come uno specchio. Sicché guardai l’orologio, era presto per fare colazione e tardi per bere. Era uno di quei momenti in cui non si può far altro che star fermi. Mi sedetti su un marciapiede, accesi una sigaretta e aspettai.

14 commenti:

  1. 40 cm di dimensioni artistiche....

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  2. mbe' vorrei essere mandingo.

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  3. MA 40 CM SONO TROPPI NE........

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  4. ahahhaha amore ak metro!!!!

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    1. LEtto con molto gusto, bravooooooooooooooooooooooooo

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  5. ma va va, 40 cm, ma scrivi bene assai, non è comune

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  6. Davvero uno spasso....!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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  7. bello bello bello!!! i tuoi personaggi sono fantastici,io propongo sempre nel farci delle letture teatrali...si prestano tanto! ovviamente quello che mi fa ridere è il moodo con cui t'immagini... vedi le cose e le persone!!è quella la forza dei tuoi pezzi! Grande Roby!!

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  8. sono i 23 di robin che mi sembrano esagerati...

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  9. 23 cm dopo che gli fai un trattamento lifting!!! Bob mi fai sempre troppo ridere!

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    1. Ma perché nessuno vuol credere al fatto che il mio è un ventitre? Che devo mettere una foto sul blog, affinché ci crediate? E fidatevi una volta....

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  10. 23 cm fatteli prestare a william... almeno 3/4 cm gli avanzano!

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