sabato 27 ottobre 2012

Sabbia e poker.

  So che lo accusarono di superbia, e forse di megalomania, o di follia. Tali accuse sono fuorvianti o ridicole. Quando giunse ad Alloccopolis, la sua apparizione fu indecifrabile; l’immagine era quella di una macchiolina dai contorni vaghi, invisibili. Il vento gli remava contro mentre, con il petto davanti, passo dopo passo, mi raggiungeva. Disse di aver attraversato gli innumerevoli deserti equatoriali e di avere la sete del cammello. Ordinai due Punch bollenti alla banana; l’Ermetico bevve senza emozione il suo. Era un uomo, diceva, cui la vita non può più riservare sorprese, poiché aveva vissuto, seppur in attimi diversi, il rischio e la serenità. Raccontò dei negri kenioti, cui il tempo libero permetteva di contare i granelli delle sabbie; descrisse le donne sdraiate sulle amache ai margini delle oasi, con il naso schiacciato e i capelli spessi come le corde che reggono le navi; parlò a lungo di un bar – il Bombay bar – dove gli ubriachi persi nel vino di cocco si cacano nei pantaloni e continuano a bere, con le braghe legate alle caviglie. (Per mesi sognò d’essere come quelli e numerose furono le notti insonni.) Aveva viaggiato ininterrottamente per un tempo impreciso; beveva vini superiori e alloggiava in alberghi lussuosi. Disse di non avere più un soldo. 
  Nei tempi che seguirono, lo sappiamo, sempre laborioso, mentre si applica nei lavori più disparati. Costruì delle mura altissime, innumerevoli assolati pomeriggi trasportò il tufo per le scale ripide; devastò con la falce gran parte dei giardini pubblici, dove con una brocca buttava l’acqua nella terra arida e ad ogni brocca d’acqua che versava ne beveva una d’Aperol. Questo accadeva nelle ore assolate; al calar della notte, l’Ermetico frequentava bar infami e bische incivili. Si scoprì un raffinato giocatore di poker. Chi lo vide giocare, racconta di un’abilità sovrannaturale. La sua qualità era – presumo – quella d’accorgersi dei sottili andazzi della sorte, con una monotonia quasi barbara. Per anni applicò quell’unico (ma utilissimo) vantaggio; un giorno calcolò che possedeva tre volte i soldi di quando iniziò a mescolare le carte. Sapeva che quegli anni non erano andati persi e l’idea di una nuova vita lo rabbrividì nella fronte. Alcuni lo ricordano sulle spiagge renose, sdraiato, con un vestito elegante e le carte del poker strette nelle mani. Forse la solitudine animava quei momenti; forse pensava al luogo che doveva raggiungere, ai soldi, ai cammelli o alle donne. A volte ringraziava le stelle, simbolo di un destino avaro di occasioni ma, tuttavia, favorevole. L’Ermetico non perse tempo e raggrumò la somma nel portamonete; non erano molti soldi, ma bastavano per ciò che aveva in mente. Fece la sua apparizione nella bisca e si sedette al tavolo verde. «Sono qui per arricchirmi del vostro danaro», disse agli avversari. Riuscì a tener testa a lungo; ma giocava d’istinto e d’istinto perse. L’avversario rastrellò il contante sparso sul tavolo con un ghigno. L’Ermetico uscì dalla bisca a capo chino, lo sguardo fisso sui sandali in pelle di armadillo. 
  Di qui si hanno poche notizie, quasi nessuna scritta. La sua apparizione era furtiva e lesta. Gli Alloccopolisiani fecero il possibile per aiutarlo; le collette furono numerose e sincere. L’Ermetico, di natura dignitosa, accettava solo i soldi per l’Aperol. Prendeva nei palmi l’elemosina, contava i pochi spiccioli che gli occorrevano e restituiva il resto. «Solo lo stretto necessario alla sopravvivenza», diceva. Tirava sorsate dal collo della bottiglia sotto l’ombra dei ponti o degli archi ombrelliformi. Nessuno riuscì mai a consolarlo, nemmeno l’Aperol. Com’era prevedibile, non resse a lungo. Disse che tornava nei deserti, dai negri e dai cammelli; avrebbe calpestato di nuovo le oasi immense. Forse davvero la sabbia lo chiamò; era un po’ uno spaccone delle circostanze, e forse il destino ha un debole per la gente come lui. Ci lasciò una sera polverosa, elemosinandoci la stessa macchiolina con la quale era apparso.

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