domenica 15 luglio 2012

L’abietto Stroop.


  Nel Dicembre del 1943, un polacco fuggiva dal ghetto di Varsavia con il rudimentale – ma inespugnabile – trucco del camuffamento. Il suo nome era Stanislaw Jerzy Lec, e fu poeta e scrittore. Cito una delle sue frasi più gagliarde: «I cannibali si lamentano perché l’uomo fa schifo». È lecito pensare che l’aforisma sia nato – tristemente – all’interno della divisa tedesca (punta del travestimento) e, più precisamente, ad altezza di un cuore secco o negletto. Un cuore mosso da un odio, quello verso l’infame Stroop, generale delle SS, che organizzò la “distruzione del ghetto” l’anno successivo, nel 1944. Stroop è uomo duplice. A Deltmond, terra di mani callose e alcol da rissa, un agente di polizia lo chiamò Josef. Tale nome lo accompagnò nella Prima Guerra Mondiale, dove la magia di una pallottola lo sublimò eroe, facendogli ottenere la Croce di Ferro di seconda classe. Negli alti ranghi, ritenne opportuno registrarsi all’anagrafe come Jürgen Stroop, reputando il nome Josef troppo “ebreo”. Dei due, l’abominevole, lo spietato, il puntuale, fu Jürgen. Chi lo conobbe, racconta di un uomo terroso, grigio nella barba e negli occhi, con uno strano accento fuligginoso. Jürgen Stroop fu così severo ed esemplare nella distruzione del ghetto che gli encomi lo sommersero come un mare. A testimonianza dell’orrore, il generale non mancò di compilare un minuzioso resoconto, cui vennero allegate delle foto, alcune terribili. Tale fascicolo venne chiamato – occorre dirlo? – Rapporto Stroop. L’infame tedesco non lo sapeva (non poteva saperlo), ma stava scavandosi la fossa. Nel 1945, Jürgen Stroop fu arrestato dagli alleati, processato, e condannato all’impiccagione. Prova inconfutabile: l’abietto rapporto celato nel doppio fondo di una valigia. Il granitico animo tedesco gli impose l’omissione sinistra della pietà. Neanche di fronte il nodo scorsoio, dove molti uomini poggiano le ginocchia sul legno, si dimostrò pentito o spaventato. Leo Villari, nella sua biografia, ci offre una versione potente e romantica del supplizio: «Sul patibolo, invaso dagli sputi e dagli insulti, mai cambiò l’espressione di eroe, il ghigno da martire. La sua carne poteva aver paura, lui no».

3 commenti:

  1. Allora, a mio parere dovresti tenertela per te sta roba, è scritta troppo bene per un blog. io posso solo ringfraziarti per la pubblicazione.

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  2. anch'io concordo a pieno...wow Roby!

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