sabato 14 luglio 2012

L’infame Campanilista inverosimile.



  L’immagine dei bar di Alloccopolis, prima di qualsiasi altra immagine: l’immagine dei bar di Alloccopolis e dei loro frigoriferi, banconi, bariste avvenenti. In quei bar un’altra immagine, quella del Campanilista, l’uomo dall’ampio portamonete, inchiodato al patrimonio dei genitori, il dispensatore di vini che affogano le fauci amiche e di amari che ubriacano in maniera invisibile, come una magia. I bar caldi con la radio puntata sul totocalcio (la musica – quando c’è – è quella polverosa delle soffitte), con i prezzi dettati dall’ostinata omertà concorrenziale. Su questo sfondo si erge, verso un cielo nitido a tinta unica, l’obelisco di una ermetica esclusività. Come nello stagno (dove il ricambio d’acqua è trascurabile), così gli avventori, ancorati all’immobilità delle correnti, fissano immobili il bancone perfezionando le proprie imprese. Quello che all’inizio era «Un Ramazzotti, per cortesia, con ghiaccio», muta, sotto gli influssi di un eterno ritorno, in un gesto impercettibile della mano. Sicché si arriva a non avere più argomenti. L’avventore occasionale – cosa rara – è visto con occhio obliquo, ostile. Il Campanilista non manca di pugnalarlo alle spalle. «Cosa bevi, amico mio? Sei nel mio bar (campanile [N. d. A.]), offro io», «Grazie infinite», risponde l’avventore inconsapevole. Non appena costui varca la soglia del tempio-bar, ecco l’incalzare del Campanilista. «Hai visto che tipo? E com’era vestito poi. Bisogna lasciarlo stare uno così, ora vi dico cosa ha fatto in passato», e inizia la demolizione dell’intruso. La Storia (che, come in certe pellicole di Hollywood, procede per fatti discontinui, in apparenza sconnessi fra loro) ci offre adesso l’immagine di un bar piccolo, con pochi tavoli, pieno di elegantoni, ragazze allo Chanel e vini sconosciuti, ma di una certa fattura (nel senso di scontrino – mi si perdoni il gioco fanatico di parole). Il momento: una languida notte di festa ad Alloccopolis. Sulla terra, lo scheletro di un drink, un abbaiare di cani, una nebbia di passi e la luce allungata del bar. Dentro, appoggiati all’unico bancone, uomini inguainati in abiti luminosi bevono un alcol rissoso e sbattono i loro Euri sul legno. Il Campanilista, imperturbabile, ubriaco, affatto felice, canta l’inno del bar. Un avventore arrogante, con dei capelli rossi posticci, è tra i bevitori di quel tugurio chic. Il Campanilista gli porge il bicchiere; lui beve e pensa di ordinarne un altro, forse perché non ha più un soldo in tasca. Poi il dramma. «Fa schifo questo bar», dice l’avventore. D’improvviso cala un silenzio di tomba. Gli sguardi degli abitué lo trafiggono come delle lance. «Ho detto qualcosa di sbagliato?». Quale ostinata mancanza di responsabilità! Viene catapultato fuori come un macigno; batte la testa e muore. Quella notte il Campanilista stende una coperta accanto al cadavere e dorme fino all’aurora – con gusto e fiducia in se stesso. Il mattino dopo lo rasano, gli infilano un abito confezionato e lo espongono all’orrore e alle beffe nella vetrina lucida del bar. Il terzo giorno lo truccano. Il quarto lo seppelliscono. 

3 commenti:

  1. Scrivi veramente bene,
    spero che un occhio più acuto e con mezzi opportuni
    ti offra la possibilità di dare il giusto valore al tuo "dono"
    Ho letto diversi gustosi brani del tuo blog.
    Sei geniale. Ciao

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  2. Hai un linguaggio davvero sorprendente, leggerti è uno spasso. Anche se a volte non capisco proprio bene done vuoi arrivare, ma poesie non ne scrivi più????=? Quelle di prima mi sono pèiaciute assai.

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