domenica 29 luglio 2012

Difesa dello Zoorasta.

  Non è questa la prima volta che viene intrapresa, né sarà l’ultima che fallisce, ma due fatti la distinguono. Uno è la mia ignoranza quasi totale della laboriosa ginnastica; l’altro, il rilevante particolare di non volerne diffondere la dottrina, ma i procedimenti puramente materiali che ad essa conducono. Questi procedimenti, com’è noto, sono svariati e possono essere eccentrici o mostruosi. Sappiamo di avvenenti ovini con le zampe infilate in robusti stivali di gomma, di strani dischi di acciaio che spengono il fragore delle ali, sappiamo di corde che bloccano e di anestetici che stordiscono. Deridere tali operazioni è facile, io preferisco cercare di capirle. È evidente che la loro origine (usare la parola atavica può non essere un fanatismo) è riconducibile alla mera ispirazione meccanica. Il povero Oreste, bastardino di provincia castano nel pelo e negli occhi, ne sa qualcosa. Lo Zoorasta lo avvicina in una notte da alcol e, avvolto in una coperta, lo porta in un parco. Lì, lontano da sguardi indiscreti, avviene lo scempio. Raccontare della notte sarebbe eccessivo, e forse inutile. La meccanica – quella sì! – è notevole. Lo Zoorasta lo svolge dalla coperta, infila le zampe del povero Oreste in una buca, con i palmi si aggrappa al pelo laido, poi, in una posizione simile a quella di una Y rovesciata, fa quel che deve. 
Il sentimento dello Zoorasta (ma anche quello di Oreste) rimane un mistero assoluto. Se i due profaneranno di nuovo il parco non è dato saperlo. Quel che sappiamo è che il loro amore dipende dalla compiacenza dell’uno e dall’arrendevolezza dell’altro.

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