lunedì 23 gennaio 2012

Flora e fauna milanesi.

  In effetti, l’unico ricordo candido che ho di Milano è un ambulante che canta o mia bella madunnina mentre vende marroni a peso-platino sotto l’ombra di una via centrale. Il sole spaccava in due la piazza e io cercavo di allacciare qualsivoglia rapporto con gli autoctoni. Dispensavo svariati buongiorno e buonasera ovunque andassi (sguardo dritto, schiena retta e leggere intonazioni sibilanti sulle vocali a mostrare totale disponibilità), senza però raggiungere grandi risultati. Capii dopo un paio di settimane che Milano somiglia molto ad un enorme zoo-city. E allora presi tutto ciò che può servire nella rischiosa esplorazione di un simile posto: un paio di scarpe molto robuste (utili contro i morsi dei seguaci leghisti, cui piace strisciare a terra sentendosi tutt’uno con il terreno amato) e una bussola, indispensabile nelle ore notturne quando i mezzi pubblici vengono meno. (Un giovane tassista spiega l’assenza dei mezzi notturni in maniera sinistra. «Qui si lavora il giorno e la notte si riposa.» Da ciò il cattivo sapore del pane locale, che non potendo essere lavorato nottetempo, acquista la tipica consistenza gommosa e l’impossibile digeribilità.) Quindi presi anche un coltello a doppia lama con seghetto, una borraccia stracolma di Gin Piscio e una pillola che provoca la morte in pochi minuti. 
  Iniziai a risalire via Manzoni e mentre tiravo giù un sorso di GinPiscio sentii dietro di me una voce rauca gridare: «Terrùn». E allora mi voltai e vidi un branco di ragazzini emo. Erano vestiti come barbie e hanno l’aspetto minaccioso. Misi la mano nella tasca destra del giaccone militare dove avevo il coltello e la sinistra nell’altra, dov’era la pillola. I ragazzini si fecero avanti e la tensione era alle stelle. Ma arrivati a pochi metri, girarono l’angolo e mi giudicai salvo. Decisi quindi di cambiare strada e passai dinanzi la Scala per risalire via Monte Napoleone. dove vive un altro tipo di esemplare: l’ImpiegatoBranco. Questo strano animale, che popola le vie del centro, ha la peculiarità di cambiare atteggiamento a seconda dell’orario cui lo si incontra. Di mattina lo si può osservare mentre cavalca energicamente le strade centrali pieno di verve. La sera invece vaga nelle metropolitane completamente sfinito, la valigetta aperta a qualche metro di distanza, la bocca aperta con la bava che cola, la cravatta allargata e l’Iphone che squilla inutilmente all’impazzata. 
   Una sera ne vidi due litigare animosamente. Si spintonavano a colpi di ventiquattrore, e io credetti in un primo momento che la lotta implicasse il territorio o la riproduzione, ma i milanesi sono pieni di sorprese: litigavano per chi avesse diritto a prendere il primo di una fila interminabile di taxi. Avvicinatomi all’orribile scena, non potei fare a meno di urlare ad un mio amico, rimasto indietro di qualche metro, qualcosa come: «Oh, vieni a vederli questi due esemplari, combattono fra loro come le bestie». I due, ovviamente, capirono che non ero di Milano e si coalizzarono all’istante contro di me. «We terrun, cazzo vuoi, vada via el kiul, va a ciappà i ratt», mi dicevano all’unisono. Nel frattempo si avvicinavano con fare minaccioso e mi ritrovai di nuovo con la mano sulla pillola. E allora ricordai di come mia nonna Gilda scacciava gli animali selvatici dagli orti coltivati e provai la mossa: feci un passo avanti e sbattendo il piede a terra gridai: «Sciò». L’ottima manovra fece scappare i due esemplari a gambe levate. Piangevano e ad uno di quelli squillò l’IPhone. Insomma, iniziavo ad ambientarmi.

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