domenica 22 gennaio 2012

Il cocktail alla moda.

  Risalii la via parallela a quella centrale, andavo di fretta. Accelerai il passo incamminandomi verso l’automobile. Quando arrivai al parcheggio lo sguardo mi cadde sui pneumatici. Mancava una borchia, quella anteriore sinistra. Mi guardai intorno in cerca del ladro e l’occhio mi cadde su uno zingaro autoctono che se ne stava seduto sulle scalette del vecchio cinema porno. Sopra la sua testa, stampato sulla locandina della settimana, s’ergeva un enorme prepuzio su uno sfondo completamente bianco. Quello s’alzò e prese a venirmi incontro. «Che tà success?» mi gridò con una voce rauca e profonda. Quelle parole tradirono la sua identità. Tutti conoscono Italetto lo zingaretto e i suoi modi. Ora, ai piedi del cinema porno, sotto quella enorme cappella su sfondo bianco, toccava a me farci i conti. Cercai quindi di spiegargli l’accaduto; gli dissi che rivolevo la mia borchia anteriore sinistra. «Se vù, domani alle tre, te la port io ’na bella borchia», disse Italetto lo zingaretto. «Grazie no», risposi deciso. 
  La sera stessa ero in un bar con un amico. Io ordinai un doppio Rum’Ice’ExtraFallo’On the rock. Iniziavo a sentirmi barzotto quando all’improvviso vedo Italetto lo zingaretto corrermi addosso. Esordì con qualcosa come: «Mi devi dare trecento euri». Il fare era minaccioso, senza dubbio voleva mettermi paura. Cercai di spiegarmi ma quello faceva fatica a capire tutto. Allora chiesi nuove delucidazioni e compresi – con non poca fatica! – cosa Italetto lo zingaretto intendeva dirmi. «M’ann arrestat pe’ la borchia tua.» Insomma, capii che si trattava di una truffa inesorabilmente barbara o monotona. Così gli dissi che non lo avrei mai pagato. Lui, ovviamente, prese ad odiarmi. 
  Nei mesi che seguirono mi ruppe tutto. Ruppe il vetro della mia macchina, ruppe il bloccasterzo del motorino e non mancava di rompere anche le palle. (Ero con un mio amico? Ecco che provava a picchiarlo. Ero con una ragazza? Ecco che lo tirava fuori.) Una sera oltrepassò il limite. Lo incontrai nei pressi di un sexy shop. Tirava boccate da una sigaretta, incastonato con le spalle nello sfondo osceno della vetrina. Cercai di evitarlo allungando il passo, ma riuscì lo stesso a raggiungermi. Stavolta non era solo e un altro zingaro, grosso il doppio e molto più cattivo e ignorante, se ne stava dietro di lui con le braccia incrociate. Allora decisi di farmi coraggio, e quando quello tirò fuori il discorso delle trecento euro io d’istinto estrassi il portafoglio, mostrai ai due i pochi soldi che avevo, poi lo rimisi in tasca e dissi: «Vieni a prenderli». Il più grosso fece un passo verso di me. Sapevo a cosa andavo incontro ed ero pronto al pestaggio, ma ebbi fortuna: un attimo prima che lui mi colpisse e due attimi prima che io mi buttassi in ginocchio implorando la grazia, passò una volante dei carabinieri. Gli zingari si dileguarono nelle vie e io fui salvo. 
  Due sere dopo eravamo nella macchina a gas di Testa di Gomito. Parlavamo di cose da niente, cose come la preparazione del Dark’Funeral’Starway to Hell o del Templar’Ice’Massonicus quando l’amico grosso e cattivo di Italetto lo zingaretto fece la sua apparizione a pochi passi dal finestrino. «Damm’ nu passagg», ci disse. Io cercai di prendere tempo, lo tenevo lì con la chiacchiera, ma di colpo Testa di Gomito mise la prima e schiacciò l’acceleratore con uno scatto. (Purtroppo – come sappiamo – l’impianto a gas toglie sprint e potenza al motore, sicché partimmo come le tartarughe.) Allora lo zingaro pensò che volessimo investirlo ed ebbe tutto il tempo di prendere la mira e darmi il più forte destro che avessi mai preso. Svenni per qualche secondo e quando mi svegliai la sorpresa fu vedere Testa di Gomito che guidava come nulla fosse successo. Fischiettava e batteva le mani sul volante e sembrava rilassato. «Abbassa quella radio», dissi mentre con una mano cercavo di tamponare le ferite. Lui si voltò verso di me e disse: «Robin, perdi del sangue», «Sì, mi hanno picchiato», «E quand’è che t’hanno picchiato». 
  Inutile insistere, era troppo difficile da spiegare. Gli dissi che m’ero fatto tutto da solo incastrandomi la testa nel finestrino. Testa di Gomito giudicò la mia tesi esaustiva. Demmo la colpa, ancora una volta, ai cocktail moderni. 

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