giovedì 26 gennaio 2012

Scipione l’africano.


  Poi presi casa con Sgum, che aveva difficoltà anche a vestirsi. Provò a dare il primo esame dopo due anni d’università. Un esame di storia. Per un mese, in maniera incessante, vagava per l’appartamento con l’esile volume sottobraccio. Ripeteva ad alta voce frasi imparate a memoria, a volte in modo sconnesso e casuale. A dieci giorni dall’esame, parlava solo per citazioni. Ero in bagno e sentii bussare. «Chi è?» chiesi. «Perché Scipione l’africano, nella famosa guerra di...», e troncò lì, senza aggiungere altri particolari. A volte apriva il volume a caso, puntava il dito sulla pagina e, ad occhi chiusi, gridava: «So tutto a memoria». Un attimo di pausa, poi riattaccava: «Perché Scipione l’africano, nella famosa guerra di...”, e andava avanti così tutto il giorno. «Sgum, mi passi il formaggio?», «Perché Scipione l’africano...», oppure, «Hai del dentifricio?», «Perché Scipione l’africano...», e così via. La mattina dell’esame lo vestii casual, con camicia e giacchetta di lino. Sembrava convinto di sé. Il libro gli pendeva dalle mani. Dissi: «Vai Sgum, faglielo vedere chi sei, io ti farò il tifo da casa», «Perché Scipione l’africano...». Lo guardai perplesso mentre lo vedevo allontanarsi sul pianerottolo. Presi a sedermi sul divano, ascoltai un vecchio disco fumando una sigaretta. 
  Sgum tornò prestissimo, lo sguardo ne tradiva la delusione. «Com’è andata?», chiesi. «Robin, quando il prof mi ha chiamato io subito ho preso posto sulla sedia.» Non capivo dove volesse arrivare. «E allora?», «Allora quello mi ha chiesto cosa portavo, io gli ho fatto vedere il libro e gli ho detto ‘Questo, porto questo’» «E lui?», «E lui mi ha chiesto dove fossero gli altri due volumi, ma io sapevo solo di quello su Scipione l’africano, e allora il prof mi ha indicato l’uscita con un ampio gesto della mano, sicché io mi alzo dalla sedia e saluto cordialmente tutto lo staff universitario». Aveva la giacchetta sulle ginocchia e lo sguardo pensoso. Cercai di consolarlo. «Dai Sgum, non ti preoccupare, lo rifarai la prossima sessione, non stare lì ad affliggerti.» Quello alzò gli occhi e disse: «No, ho chiuso, basta con l’università», «Perché dici questo?», «Perché Scipio...». Non gli feci finire la frase. Lo colpii ripetutamente al volto, lui cadde a terra e iniziai con i calci. 
  Sgum lasciò l’università poco dopo. Mentre faceva le valigie si ripeteva che la fortuna sarebbe arrivata, velocemente e in grandi dosi, nel mondo del lavoro. Ora lo si può incontrare la mattina presto. Solo ma allegro, Sgum guida un camioncino con una grossa cisterna a rimorchio. Il camion che lo precede carica il pattume, poi lui passa ad igienizzare con una pompa. In punta di piedi lancia i detergenti e i profumanti nell’orribile contenitore. A volte si ferma e rimane per un po’ a fissare il cassonetto dell’immondizia svuotato, igienizzato e profumato. Un sussulto automatico prende ad animarlo. Spalanca la bocca, poi urla: «Perché Scipione l’africano...».

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