lunedì 23 gennaio 2012

Il barbiere con il bicchiere.


  Faccio barba e capelli due volte l’anno, sono un pigro; due volte l’anno apro la porta di Marietto, il mio barbiere di fiducia, quello di sempre. Con i capelli a fungo lo saluto mentre i peli della barba m’intasano la bocca. Lui mi accoglie amichevolmente, le mani che strapazzano una lozione. Quando non ha clienti Marietto appende un cartello indecifrabile sulla porta a vetro. Poi si reca al bar e aspetta l’avventore. Non raramente sbaglia un colpo di forbici o una limatina. Se gli capita di tagliare qualcuno semplicemente fa lo sconto. «La stanchezza», si scusa. Con la mano tremolante, decine di volte, il rasoio sbaglia andatura e taglia la pelle dei clienti. Uno è lì che legge l’ultimo articolo di Vogue, e all’improvviso, inavvertitamente, sobbalza all’urlo di dolore del pover’uomo pagante. Marietto chiede ovviamente scusa, e dice: «Devo esser diventato vecchio; è solo mezzogiorno eppur son già stanco». Il cliente viene preso dai sensi di colpa e non aggiunge altro. (In fondo è avanti con gli anni e dargli corda è quasi un dovere civico.)
  Anche alla mia povera faccia toccò di passare sotto il rasoio imperfetto. Come tutti urlai, come tutti venni preso dai rimorsi. Ero sul punto di chiedere scusa, quando quello disse: «Son stanco, certo che son stanco, tutto quel tempo seduto al bar». Capii che Marietto chiama le sambuche stanchezza.

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